Onorevoli Colleghi! - L'articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, prevede l'integrazione al trattamento minimo delle pensioni liquidate con decorrenza 1o ottobre 1983 o successiva solo in caso di mancato superamento di un certo limite di reddito personale e, ai sensi delle modifiche successive apportate al medesimo articolo 6, da ultimo con la legge n. 35 del 1995, anche di mancato superamento di un determinato limite di reddito da parte del coniuge.
In sostanza, l'integrazione al trattamento minimo spetta per le pensioni con decorrenza dal 1o gennaio 1994 in poi al ricorrere di due condizioni contemporaneamente:
1) non possedere nell'anno considerato redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte l'ammontare annuo della pensione minima dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (euro 11.339,64);
2) non possedere redditi cumulati con quelli del coniuge per un importo superiore al quadruplo della pensione minima dell'INPS (euro 22.679,28).
Per le persone non coniugate, ovvero coniugate ma legalmente ed effettivamente separate, deve ricorrere solo la prima condizione.
Il risultato è che ci sono migliaia di donne ex lavoratrici, che hanno lavorato e versato contributi per almeno quindici anni e che hanno lasciato il lavoro per dedicarsi alla famiglia e ai figli e magari hanno versato milioni di vecchie lire di versamenti volontari per avere, raggiunta l'età